L'ultima partita a carte | Pirelli

L'ultima partita a carte

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A Valstagna un gruppo di amici fa il bagno nel Brenta. I tavolini dei bar hanno gli ombrelloni aperti e le Gazzette spalancate, i cubetti di ghiaccio allungano gli spritz e li tengono freschi un po' più a lungo. Il Giro d'Italia sta finendo, lo si intuisce dall'estate che arriva e dalle giacche che non servono più, nemmeno qui, dove la valle si spacca in due e l'afa della pianura fa il giro largo, e arriva dopo. Di solito rimbalza contro le case a filo d'argine, si nasconde tra i pini le torbiere, ma oggi ha preceduto le biciclette e si è fatta strada fin sotto l'Altopiano. Il sole invade tutti i tornanti che si arrampicano fino a Foza, a partire dal primo, dove se uno non avesse la bici potrebbe abbandonare l'asfalto e scegliere di salire a piedi: ci sono 4444 gradini, è la scalinata più lunga d'Italia, una delle più lunghe del mondo aperte al pubblico. “È scura come il temporale”, scrive Paolo Rumiz. “I gradini sono ripidi da bestie, faticosi già a nominarli. L'erta prende la spaccatura sinistra della valle e brucia in un lampo 810 metri di dislivello. Si chiama <<Calà del Sasso>>, ed è una delle opere più fantastiche delle Alpi”.

 

PZeroVeloTuttavia il Giro d'Italia si corre in bicicletta, allora ai ciclisti per accedere all'Altopiano tocca proseguire sulla Strada Provinciale 73, passare accanto a una cappellina dove sopra la statua della Madonna è stato posizionato un cartello rosa (“Maria saluta e benedice il Giro”) e augurarsi che dica il vero: l'ultima salita del 100° Giro d'Italia è lunga 14 chilometri e pende al 6.7% medio, ma è soprattutto il suo status di extrema ratio per gli scalatori della corsa a renderla temibile. L'ultima salita del Giro è esame senza appello, è l'ultimo lancio di dadi a Risiko, è i calci di rigore dopo i supplementari. I corridori hanno scalato l'Etna e il Blockhaus, lo Stelvio e il Pordoi, ma hanno deciso di regolare i conti sulla strada che sale da Valstagna verso Foza, laddove tre ragazze prendono il sole sui prati, un uomo si è messo una maschera da lupo e molti alpini curano con passione il servizio d'ordine.

Ma il temporeggiare dei pretendenti al Giro, a ben vedere, è necessità più che decisione, discende dall'equilibrio di forze che regola i rapporti tra i capitani. Venti giorni di corsa non hanno definito un predominio insuperabile: i vantaggi possono evaporare, gli svantaggi azzerarsi, e alla fine di un Giro il confine tra la solidità e la crisi è labile come il segnale telefonico lungo i tornanti di Foza; gambe che un attimo prima ancora tacevano, un secondo dopo potrebbero sbraitare e ribellarsi, senza gran preavviso, perché le gambe sono buone e care, ma hanno un'ottima memoria. Si ricordano alla perfezione delle torture che hanno subito, dalla prima – la collinetta di Multeddu, il 5 maggio – all'ultima, l'infinito Grappa, che è stato scalato oggi stesso, pochi minuti fa, con i corridori in mezzo a un corridoio di vino e carne arrosto, la quiete del Sacrario inviolata più in alto. Ecco invece adesso l'Altopiano, si annuncia con panorami di meraviglia. La salita di Foza, e poi il tratto finale verso Asiago, non hanno cambiato nulla: i corridori non hanno temporeggiato, sull'ultima salita non si può più, tuttavia le loro gambe sono rimaste in silenzio. Nessuno si è involato, nessuno è andato in crisi.

In cinque hanno provato a distanziare Tom Dumoulin, a mettere più secondi possibili tra sé e l'olandese, perché nell'ultima tappa tutti pensano che quegli recupererà tutto. Hanno provato a distanziarlo, gli hanno preso 15 secondi, la misura giusta per far sperare a Quintana e a Nibali, che sono davanti, di mantenere il loro vantaggio fino al Duomo di Milano, e a Dumoulin, che insegue, di poter invece superarli. La 20a tappa si è così conclusa nella città di Mario Rigoni Stern, di cui uno degli ultimi romanzi si intitola L'ultima partita a carte. L'ultima partita a carte della corsa rosa sarebbe dovuta giocarsi ad Asiago, e invece sarà a Milano. Perché il Giro sta finendo ma, a guardare la classifica, forse non è iniziato mai.