La festa più bella della vita | Pirelli

La festa più bella della vita

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29.3 chilometri su un totale di 3610. L'ultima tappa del Giro d'Italia copre meno dell'1% del percorso totale, eppure è decisiva. Specialità: cronometro. Significa che gli ultimi partono per primi e i primi per ultimi, e significa anche che ognuno corre per sé. Non ci sono squadre e strategie, attendismi e controllo. Nei 29.3 chilometri da Monza a Milano vince chi è più rapido, chi ferma il cronometro prima degli altri. È il giorno in cui viene premiata la velocità, e allora il Giro parte dall'Autodromo nazionale di Monza, dove nel 2005 Kimi Raikkonen, su McLaren, toccò in gara i 370.1 km/h, un record assoluto. Le biciclette vanno molto più piano di così, anzi verrebbe da dire che le biciclette che affrontano Parabolica, variante Ascari e curve di Lesmo in avvio di ultima tappa del Giro appaiono figlie della lentezza, pronipoti di sua maestà la flemma.

PZeroVeloAnche l'arrivo sembrerebbe incoerente: Milano è la città più veloce d'Italia, Milano corre e non si volta, ma per una domenica Milano si ferma. Si ferma per l'arrivo di una corsa di biciclette, mica di un Gran Premio, si ferma nella fermata del Duomo soppressa, nelle lamentele di qualche turista e nell'orgoglio degli anziani che indossano per l'occasione una camicia rosa. Partenza dall'Autodromo dei record e arrivo nella metropoli della fretta, in sella al mezzo di trasporto più lento del mondo: è uno dei mille ossimori del ciclismo, almeno all'apparenza. Perché poi le bici che in 29.3 chilometri si convertono dal rito romano a quello ambrosiano, altro che lente, sono giocattoli futuristi. Le selle, i caschi, i manubri, le ruote, persino le borracce. Tutto è studiato per tagliare l'aria e vincere il tempo, per favorire il più possibile l'ossessione dei cronoman. “La cronometro è un'arma devastante”, ha detto Mario Fossati. “La cronometro è una gara per marziani”, ha scritto Gian Luca Favetto. “Il cronoman è l'ala destra del ciclismo, è la solitudine dell'ala destra. Corre lungo il ciglio della strada, sulla fascia, quasi mai in mezzo, ogni tanto svaria, va a sinistra, poi torna a destra, segue una sua traiettoria mentale, dribbla i fantasmi e la noia.”

Tom Dumoulin ha una capacità innata di dribblare le curve e la noia. È il miglior cronoman del gruppo, quando lascia l'Autodromo sa già che può farcela, che gli basta andare come va di solito, non troppo più forte, per saltare dal 4° al 1° posto, vincere il Giro d'Italia e trasformare l'ultimo giorno di scuola nella festa più bella della sua vita. Prima di lui, in Piazza Duomo, arrivano velocisti e gregari, debuttanti e vecchi filibustieri, e sono tutti felici, molti di loro emozionati, alcuni tristi: il Giro è finito, da domani la vita sarà meno faticosa, ma pure meno eccitante. 

Prima di Dumoulin arrivano in piazza tifosi e spettatori, turisti e passanti, e poi colori, ombrelli parasole, coriandoli e cappellini. A metà percorso, Dumoulin ha già recuperato tutto lo svantaggio che alla partenza lo separava da Nairo Quintana; arrivato a Porta Venezia, la Porta Orientale dei Promessi Sposi, Dumoulin ha la stessa fretta di Renzo, con la differenza che Renzo fuggiva da Milano, Tom la brama. Vince il Giro d'Italia, primo olandese della storia a riuscire nell'impresa, tuttavia nelle interviste chiede di essere considerato un ragazzo normale, spera che a Maastricht, la sua città, non lo fermino troppo per strada. Aveva iniziato a studiare medicina, ma poi, dice, la vita opera in modi misteriosi: è arrivata la bicicletta e non si è più laureato, e per questo non vuole che lo si chiami Dottore.

Dumoulin vince il Giro d'Italia. Un gruppo di turiste olandesi canta “Tommy, dankjewel”: grazie, perché ci dai un motivo in più per gioire in questo caldissimo maggio italiano. Gli italiani incitano Nibali, terzo e orgoglioso, sempre protagonista. I colombiani consolano Quintana, il terzo nella storia a perdere il Giro all'ultima tappa: restano in piazza fino a tardi, quando Nairo è andato via, e anche Tom e Vincenzo, e tutti gli altri da un bel pezzo. Rimangono a celebrare il Giro che è finito e la festa che è stata, e che sarà di nuovo, tra meno di un anno.