Un concentrato d'Italia | Pirelli

Un concentrato d'Italia

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Il Giro d'Italia numero 100 è una di quelle feste in cui gli invitati sono talmente tanti, e talmente prestigiosi, che quasi si fa fatica, tra la folla, a individuare i padroni di casa e a rendergli omaggio. Undici tappe e undici vittorie straniere: alcuni pensano sia un sintomo inequivocabile delle difficoltà attuali del ciclismo italiano, altri pensano invece che sia segno fortissimo del cresciuto appeal della corsa rosa, che attira sempre più attenzioni internazionali, e sempre più campioni. Quello su cui tutti sono d'accordo è che il Giro d'Italia, nonostante tutto, sia un evento con un'identità inequivocabile, segnata da un legame viscerale con i luoghi e le atmosfere che attraversa. Gli addetti ai lavori esprimono questo concetto dicendo che “il Giro è più italiano di quanto il Tour non sia francese”, o che “il Tour è pensiero, ma il Giro è emozione”. Anche i corridori condividono idee non dissimili sul carattere intimo, quasi familiare, del Giro d'Italia. Non è raro sentire affermare i protagonisti della corsa rosa che è come se il Giro appartenesse in toto ai ciclisti e agli spettatori sulle strade, non ancora al mondo in senso generale. Se il Giro è, allora, tra i più italiani degli eventi italiani, la dodicesima tappa dell'edizione 2017 è tra le più italiane delle tappe del Giro.

PZeroVeloC'è moltissima Italia nella Forlì-Reggio Emilia, intanto perché è la tappa più lunga del Giro: 234 chilometri di penisola, in un giorno di metà maggio, assomigliano a un viaggio d'istruzione lungo e ben riuscito. Si parte dalla Romagna, Forlì, poi subito a ovest ed ecco Faenza e le sue ceramiche. Il percorso è capriccioso nella prima parte: devia dalla via Emilia e si butta a sud, tra i frutteti della Valle del Lamone e gli speroni di gesso su cui s'arrocca Brisighella. Le salite sono lievi, introducono prima ai boschi di Marradi, la capitale della romagna toscana, poi alla Colla di Casaglia, 913 metri e decisa frescura. Da lì la strada si tuffa nel Mugello, le sue pievi e i suoi conventi; la memoria viva di Gastone Nencini, che del Mugello fu il Leone. Dopo Barberino, un improvviso cambio di marcia: i fuggitivi, in testa il reggiano Mirco Maestri, anticipano il gruppo e imboccano l'A1. I caselli sono spalancati, oggi non serve il Telepass per entrare nell'Autostrada più importante d'Italia, versione panoramica, perché il ciclismo, certo, è velocità, ma fino a un certo punto. Il ciclismo è soprattutto deviazioni. Finisce poco prima di Bologna, in tempo per fiancheggiare il mausoleo di Guglielmo Marconi, nei pressi del quale RadioCorsa celebra il suo progenitore segnalando che il vantaggio dei fuggitivi sta iniziando a calare. 

Bologna rimane sullo sfondo: il Giro preferisce far rotta verso gli spacci di Parmigiano Reggiano di Castelfranco e, finalmente, su Modena, la sua nobiltà e le sue eccellenze. Servirebbe un upgrade da parte della vicina Ferrari per dare speranze a Maestri e alla sua bici, nel frattempo rimasti tutti soli all'attacco. Maestri vede avvicinarsi la periferia di Reggio Emilia, casa sua, vorrebbe presentarsi su Viale Isonzo per primo. Ma ha contro cinque squadre che lavorano a tutta per i loro velocisti, difatti viene ripreso a 7 chilometri dal traguardo. 

La tappa-concentrato d'Italia, quella della Ferrari, di Marconi e dell'A1, termina nella città del Tricolore. Non lontano dalla sala in cui la Repubblica Cispadana approvò l'uso della bandiera verde-bianco-rosso, Fernando Gaviria da La Ceja, Colombia, supera di nuovo allo sprint Jakub Marezcko, nato in Polonia ma italiano, impedendo per la dodicesima volta consecutiva lo sventolio del drappo di casa. La lieve aria delle sere di maggio emiliane invita gli italiani avere fiducia (il Giro è ancora lunghissimo), e tutti gli altri a cercare un'osteria: il Giro è arrivato nella Food Valley.